La violenza assistita intrafamiliare è una forma di violenza domestica che consiste nell’obbligare un minore ad assistere a scene di abuso, maltrattamento o violenza (verbale, fisica o sessuale) su persone – adulte o esse stesse minori – che appartengono al nucleo familiare, che costituiscono un punto di riferimento o che sono comunque legate affettivamente. La violenza assistita è diretta quando il minore è costretto ad assitere alla condotta abusante, mentre èindiretta quando il minore è messo al corrente della violenza o comunque ne percepisce gli effetti negativi. Quando l’esposizione a scene di violenza è ripetuta, il benessere, lo sviluppo individuale e la capacità di interagire in modo funzionale a livello sociale sono seriamente compromessi ed è quindi emergente l’esigenza di un programma mirato a contrastare il dilagare di questo fenomeno, troppo spesso minimizzato.
Nell’ordinamento giuridico italiano al fenomeno della violenza assistita intrafamiliare non corrisponde una fattispecie autonoma di reato, tanto che si tende a ricondurre i singoli comportamenti nei quali si concretizza alle fattispecie di reato esistenti, qualora ne ricorrano i presupposti. Il riferimento più ricorrente è al reato di maltrattamenti in famiglia, previsto e punito all’articolo 572 del Codice Penale, disposizione soggetta alle modifiche contenute nella legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote – Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale – che prevede un inasprimento della pena per il reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”. Altra fonte sovrannazionale di riferimento è certamente rinvenibile nella Convenzione di New York sulla tutela dei diritti dell’infanzia, il cui obiettivo dichiarato è quello di conseguire l’interesse preminente del fanciullo.
A parere di chi scrive, però, la chiave normativa che può condurre a un’efficace prevenzione delle problematiche infantili e dell’età evolutiva connesse alla violenza assistita intrafamiliare è rinvenibile nella Convenzione di Istanbul – Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – essendo innegabile che sono le donne a essere le vittime dirette di un numero considerevole di violenze familiari a cui, non di rado, sono costretti ad assistere i minori e che è la dimensione domestica lo scenario privilegiato di tali episodi abusanti. La convenzione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, ratificata dall’Italia il 28 maggio 2013 e convertita in legge il 19 giugno 2013, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza ed è, non a caso, incentrata sulla prevenzione dellaviolenza domestica, di cui offre una nozione circostanziata: configurano violenza domestica tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
I contenuti dellla Convenzione di Istanbul dovranno essere oggetto di espresso richiamo in disposizioni nazionali che andranno a rafforzare il quadro di protezione già esistente, ma grazie a una lettura innovativa, che allarga il focus – fino a ora incentrato unicamente sulla tutela del minore – alla tutela delle donne, consente di rinvenire interventi mirati alla prevenzione del fenomeno della violenza assistita intrafamiliare, oltre che nel citato articolo 572 Codice Penale, pure nell’aricolo 282 bis del Codice di Procedura Penale (Allontanamento dalla casa familiare) e negli articoli 342 bis e 342 ter del codice civile (Ordini di protezione contro gli abusi familiari), introdotti dalla Legge n. 154 del 2001, nonché nell’articolo 612 bis del Codice Penale (Atti persecutori), introdotto dalla Legge n. 38 del 2009, istitutiva del reato di reiterata di minaccia e molestie, meglio noto come stalking.
L’auspicio è che l’estensione della tutela riconosciuta al solo soggetto minore anche al soggetto donna/madre conduca a trasformare un quadro normativo che mira alla repressione del fenomeno della violenza domestica e intrafamiliare a un programma di efficace prevenzione dello stesso.